Letture

INCONTRO CON LIBERESO GUGLIELMI

Nel nostro orto il 13 giugno Libereso Gugliemi è venuto a farci visita! E’ stato un vero e proprio evento e vorrei raccontarvi un po’.
L’orto della cooperativa sociale Agriverde è il cuore delle nostre attività di riabilitazione, attività rivolte a utenti dei servizi sociali e psichiatrici del nostro territorio. Siamo, tra educatori e soci partecipanti, più o meno una ventina di persone. Siamo insieme dal 1986, a San Lazzaro di Savena, Bologna.
L’orto, per Libereso, era curato, vestito a festa, senza neanche un’erbaccia quindi: un disastro perché Libereso fugge l’erba rasata, cerca gli incolti, in particolare l’erba alta dove confondersi. Per fortuna, il riordino dell’area, fatto il giorno prima con un po’ di fretta, ha saltato alcune zone più nascoste, ed è proprio da quelle, considerate da noi le più indecenti, che Libereso inizia a raccontare e a raccontarsi.
E’ una giornata dal tempo incerto con vento, nuvole e sole. I tigli ormai sfioriti (il nostro orto è delimitato da annosi esemplari) si liberano dai petali e ci vestono a festa.
Con Libereso, assorti in un silenzio che ascolta, entriamo a far parte della natura. Libereso si è già confuso con essa. Claudicando ed appoggiandosi a chi gli è più a portata di braccio, parla come se continuasse un discorso antico e mai smesso. Lo spunto è sempre un vegetale incontrato sul cammino, insignificante per la stragrande maggioranza dei presenti, ma che per incanto acquista dignità nel suo racconto condito di parole latine e dialetto ligure…
Con Libereso che parla, sembra che lo spazio temporale si annulli: ci lasciamo cullare dal suo parlare cantilenante, dalle vocali chiuse, tipiche della sua terra di origine. Il monologo s’interrompe con le prime domande. Tutte, ma proprio tutte, sono degne di una risposta e l’uomo-natura è un maestro nell’assecondarle. La natura – ci dice – pur nella sua complessità, è semplice nelle risposte se l’atteggiamento di colui che interloquisce, è di reale ascolto. In questo, Libereso, è veramente un mediatore d’eccezione, un grande facilitatore.
Il suo è un parlare che prende forme sempre mutevoli: ora è una pianta, ora un filo d’erba, ora un fiore e l’incanto, perché si concretizzi, necessita di un ascolto contemplativo.
Ecco che ci parla del gigaro o pan delle serpi, Arum maculatum, dal bel frutto composto, arancione vivo e avvolto da una morbida brattea, pianta velenosa – racconta – ma in parte ottima da mangiare (il tubero solo, se cotto preventivamente).
Personalmente partecipo al suo racconto con pensiero piacevolmente fluttuante, e mi ritrovo con un balzo temporale a ritroso, suo improbabile compagno di giochi in un entroterra ligure rigoglioso e ricoperto di gigari, anch’io ne raccolgo i tuberi e ne faccio scorta per cena. Mi risveglio dal sogno ad occhi aperti e vedo l’unghia sezionatrice di Libereso che “sbuccia” uno stelo di ortica, offrendone il midollo sfibrato come cibo. L’unghia ormai verde contrasta con il candore della folta capigliatura. E’ l’inizio di una metamorfosi preannunciata.
Il racconto procede con il comune stoppione, così odiato da noi volgari diserbatori di orti, che, nobilitato al rango di Cirsium arvense, pianta utile e benefica, quasi non si riconosce. E che dire del farinaccio tradotto musicalmente in Chenopodium album progenitore dello spinacio e disponibile gratuitamente in abbondanza… E della porcellana, ora Portulaca oleracea dai gambi corallini squisiti in frittata e dalle foglie giovanili grassoccie, insostituibili in insalata?
Chi più e chi meno, ma più o meno tutti, ci ritroviamo a sezionare, masticare e a volte apprezzare parti di vegetali che fino a poco tempo prima non avremmo mai osato avvicinare alla bocca.
Capiamo che per Libereso l’estetica riveste un ruolo fondamentale nel suo operato. Il bello, da concetto soggettivo, diventa inconfutabilmente principio oggettivo se si osa utilizzare a tavola in insalata i bei fiori azzurri della Malva sylvestris. Oggettiva – ci dice – è la soddisfazione provata facendo gustare a dei bambini di una scuola di Sanremo, prima con gli occhi e poi con la bocca, ciotole di petali di rose dai mille colori.
L’ubriacatura botanica, con tempi di spostamento spaziale lumacheschi, ci porta passo a passo ai bordi del nostro amato orto, che con nuovi occhi riscopriamo peccare di eccessiva regolarità e pulizia. Troppo scarna la biodiversità e troppo esigua la presenza sparsa di borragine, che oltre ad essere l’ingrediente principe dei pansotti di Camogli, trasmette, forse per simpatia, vigore vegetativo all’ortaggio vicino.
Mossi da intenzioni di autocensura, diamo sempre più corda al narratore perché continui ad incantarci con altre storie, soprattutto della sua vita. Vita intensa e ricca di esperienze, che non ha mai rinunciato a confrontarsi con culture diverse, sperimentate in molti viaggi, nella consapevolezza che la diversità è sinonimo di ricchezza in quanto misura di autocritica costruttiva.
Il tempo, questa volta meteorologico, da variabile che era, vira decisamente al sereno. E’ il momento di fermarci per il pranzo da noi organizzato e volutamente informale: l’ombra della Sophora che ci sovrasta, ci solleva dal caldo afoso e sembra sovrintendere ad altre piacevoli chiacchiere che si vorrebbero senza fine.
Ad incontro terminato il giorno successivo, ho raccolto le impressioni di due nostri ragazzi “Down”. Ho chiesto a loro cosa pensavano di Libereso. Telegrafica la risposta: è un uomo buono con la barba e i capelli bianchi, mangia le erbe perché le conosce e fa delle belle barche con le foglie delle canne.
Alberto Boggero
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Cooperativa Sociale Agriverde
Via Seminario, 1 –
40068 S. Lazzaro di Savena (BO)
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