Letture

SUL PERSIC DE NOBIL E ALTRE STORIE

Questa del persic de Nobil è una storia emblematica, un esempio di come la
salvaguardia della biodiversità locale non possa e non debba essere coniugata
senza un vasto concorso di amicizie, di sodalizi organizzati e radicati sul
territorio, di individiu generosi e sensibili, di enti locali premurosi e
riguardosi verso il bene pubblico.
E’ anche una storia di profumi, di sapori, c’è dentro poesia e pure incuria, e
allora narriamola, questa storia del pesco di Nobile.
Con orgoglio misto a nostalgia, con rimpianto ed anche rinnovata fede, il
signor Eliseo Sangiorgio, coltivatore e vivaista in quel di Monguzzo, dove il
nostro pesco era in auge fino agli anni ’50, ci ha raccontato di come i
contadini del suo paese, nel Comasco, in particolare quelli della frazione di
Nobile andavano fieri del loro eccezionale “persic de Nobil”, una varietà
locale, originata da seme, magnificamente profumata e ne facessero commercio
con buon profitto in tutte le località vicine.
Era un pesco che si annunciava da lontano, la madre dell’architetto Antonio
Corti, dal suo letto, avendone richiesto al figlio qualche frutto, gli disse di
averne avvertito l’odore, e non abitava al primo piano. Ho sentito parlare già
da molti anni di questo profumo, di questa fragranza, qui, in Vallassina, nella
zona dove abito, in tanti me l’hanno decantata: non lo sapevo, ma, due anni
orsono, proprio nel terreno che ho acquistato, a Cranno, frazione di Asso, ve
n’era un esemplare.
Questo agosto, nonostante una tremenda grandinata e tempesta di vento, il 13
luglio, molte di queste pesche son sopravvissute: vi assicuro che la leggenda
del profumo di questo persic è assolutamente veritiera.
Non solo buono e profumato, resistente alle intemperie, coriaceo di fronte ad
ogni attacco fungino, ci ricorda il sig. Sangiorgio che questi peschi, come in
tutta la Brianza, una volta vero “verziere” di Milano, venivano originati
solamente da seme , senza alcun innesto, forti, longevi, produttivi.
Già conosciuti sin dalla fine del Settecento, coltivati intercalati a
granturco, grano, a gelsi, erano la fonte di reddito principale nel contado
brianzolo.
V’erano tante varietà locali, ciascuna col suo nome dialettale, v’erano le
pesche “pelusitt” , così chimate perchè piccole e verdi a maturazione, dotate
di peluria, ancora più piccoline v’erano le “nusitt”, ovvero noccioline, le
“morelon” di colore violaceo. Quando nevicava occorreva uscir fuori e scuoter
via la neve, pena la rottura dei rami. Il sig. Sangiorgio rammenta che queste
buone pesche si conservavano in cassette di legno ricoperte di felci alte.
Come mai, allora, data la larga diffusione di questa varietà, la sua
rinomanza, la sua preclara bontò, noi di Civiltà Contadina, insieme ad altri
enti ed associazioni ci stiamo preoccupando? E’ sempre il signor Sangiorgio che
ci racconta di come, poco alla volta, per una serie di fattori, sia andato via
via sparendo tutto.
Spariti i filari di gelso, come i peschi, questi si seminavano, dopo pochi
anni erano già pronti per esser messi a dimora in terra e cominciare a
produrre: i bachi da seta si alimentavano solamente delle loro foglie. Nella
zona di Monguzzo attività industriali di tipo invasivo, leggi, è sempre
Sangiorgio e con lui tanti vecchi contadini confermano, le ceneri di una
cementeria locale causarono, depositandosi sulle foglie , come dappertutto, la
morte di queste piante.
Oggi, con filtri e sistemi di depurazione nuovi, si può sperare di
ripristinare , almeno in parte, qualche frutteto e recuperare le antiche e
buone varietà.
Associazioni come la Cumpagnia di nost di Canzo, località vicina, la nostra,
Civiltà Contadina, diversi privati volenterosi, lo stesso comune viciniore di
Monguzzo, Merone, vogliono far rivivere se non tutto quel mondo, quel paesaggio
vario, peculiare delle colline brianzole, almeno delle oasi presso scuole
pubbliche, terreni privati, auguriamoci che tutti questi sforzi, tutto questo
amore porti ad una concentrazione di energie. Un persic di Nobil c’è, piantato
sulla tomba della madre di Antonio Corti a Canzo, molti amici della Cumpagnia
di Nost, nella stessa località, ne hanno diversi esemplari, io ne ho uno nel
terreno: dai noccioli potremo ridar vita a questo pesco, potremo , partendo
dalle scuole dei comuni interessati, fare assaggiare ai bambini questi
profumati e prelibati frutti, e saranno loro, lo speriamo vivamente, a
continuare a interrare noccioli, unico modo per la propagazione del nostro
persic de Nobil e di tutte le sue sorelle, le altre altrettanto buone varietà.
Certamente ho tralasciato altri nomi, voglio ricordare il sig. Pier Paredi di
Canzo, Leopoldo Tommasi, insegnante presso l’Istituto agrario del parco di
Monza, nonostante mi abbia “smarrito” una pianta di persic, anni addietro, mi
ha pur confermato tante e vere cose sulla coltivazione degli alberi da frutto
in Brianza, esattamente nelle modalità confermate dai contadini anziani che ho
contattato.
Questa è una storia esemplare, la biodiversità locale non si salvaguarda se
non tutti insieme e solo con la collaborazione di una pluralità di soggetti che
si mette insieme una narrazione, una storia, “etnobotanica”, il nome colto, che
meriti essere tramandata, non sui libri, soltanto, ma negli orti e nei campi.
La nostra biodiversità, la nostra ricchezza, il nostro “germoplasma” non lo
deleghiamo a multinazionali che lo ibernino in banche del seme come quella
immensa lla isole Svalbard, noi, vogliamo i nostri alberi, la nostra frutta, la
nostra verdura, qui, vicino a noi, vogliamo che i monelli delle scuole si
arrampichino sugli alberi e ne rubino i frutti, vogliamo che massaie
intelligenti inventino ricette nuove per marmellate  e salse. Il nostro
patrimonio genetico locale, tale, deve restare, locale, e pubblico, di
tutti.
Teodoro Margarita