Letture

Storia di un mais, viaggiando intorno a una pannocchia aguzza.

Voglio narrarvi di una pannocchia di mais, della sua storia, di molte mani, di molte terre, di molte bocche che l’hanno assaggiata.

La prima volta che mi è stata portata si chiamava "scaiola" e l’aveva trovata Daniele Engaddi, socio di Civiltà Contadina, a Vimercate. Era la nostra prima Giornata "In difesa della Terra" ad Erba, il maggio del 2003. Era una pannocchia dai chicchi aguzzi, terminanti con un uncino, qui in Brianza conosciuta e apprezzata per la polenta. Una varietà in via di sparizione per la "resa bassa", sostituita, come le altre antiche, dagli ibridi anonimi dei consorzi.
A Bellinzona, alla Festa della "Pro Specie Rara", lo stesso mais era conosciuto come "mais di Carnago", dal nome del paese ticinese dove era stato ritrovato. Ma è quest’anno che intorno a questa pannocchia abbiamo ricevuto le più svariate notizie.
Il "barba", Sergio Finazzi, già oste, ora viticoltore, questo mais che chiama "rampinel", l’ha usato per cucinarci una polenta da premio, ha vinto infatti, in una gara tra cuochi, il massimo trofeo per squisitezza, proprio con la scaiola. Per il "barba" la qualità è un impegno serio: un suo vino si fregia del "Sole" nella Guida Veronelli. E’ lui che mi spiega di come questo mais fosse il tipico granoturco da collina, più resistente all’umidità, coltivato, è il solo possibile, oltre una certa altitudine.
Altre varianti della scaiola, sono il "rosso di Rovetta", ritrovato da Giambattista Rossi del coordinamento bergamasco presso un anziano contadino. Con questo rosso di Rovetta è stato realizzato un labirinto dall’Orto Botanico di Bergamo, presso la ludoteca di Torre Boldone: alla raccolta, quest’autunno, si preparerà polenta per tutti. Domenica 6 giugno 2008, a Cernusco Lombardone, alla manifestazione "Andar per vecchi semi", il signor Pirovano, al quale abbiamo fatto dono di mezza pannocchia, ci ha riferito dell’ennesima denominazione di questo nostro mais: "dint de rat", dente di topo, se lo ricordava bene per questo "dente" affilato che faceva sanguinare le dita a sgranarlo. Una signora di un’azienda agricola piemontese ha riconosciuto questo mais per "dente di cavallo" e siamo alla fine dei molti nomi della scaiola brianzola. E’ una vera e propria storia di lingue, di tradizioni, di coltivazioni e lavorazioni, di dialetti e comunità distanti pochi chilometri eppure un poco differenti. Questo è un esempio di cosa voglia dire proteggere la biodiversità: proteggere la memoria viva di saperi, di generazioni e generazioni di contadini che si sono susseguite adattando alla propria peculiare sensibilità le varie specie, una pannocchia, in questo caso, facendola propria, rendendosela e tramandandosela, per via dei molti nomi, sempre diversi. Noi di Civiltà Contadina della Lombardia abbiamo il nostro seme simbolo, è proprio questo versatile, eccellente, profumatissimo mais: chissà quanti altri nomi avrà ancora, quanti altri ricordi susciterebbe a venire mostrato in altre zone.
Questa è la testimonianza vivente di come sia importante il nostro lavoro di ricerca e divulgazione. Inoltre faccio proprie le riflessioni di Gian Battista Rossi di Bergamo, se si parla di "bassa resa" per questo mais, bisogna vedere quanta acqua, quanti pesticidi, quindi quanti danni sono stati addebitati alla comunità, l’estate scorsa in regime di siccità, gli altri più "redditizi" mais, a fronte di una parsimoniosa consumatrice d’acqua come la nostra scaiola. Ecco che questa storia valeva proprio la pena d’essere narrata, a futura memoria, per i contadini lombardi di domani.
 Teodoro Margarita