Orti condivisi e terapeutici

NOTIZIE DA CASCINA BOLLATE

Il vivaio nel carcere di Bollate

Cosa c’è di nuovo‍

[Elementare, Watson!] La pianta giusta al posto giusto: detta così, rientra nelle ovvietà del giardinaggio, vere o false che siano. Non si concima mai abbastanza (falso), le radici devono sentire il suono delle campane (vero), fammi piccola e mi farò bella (riferito alla potatura delle rose, falso), etc etc. Se ci si limita al binomio sole/ombra sembra elementare trovare la giusta collocazione per una pianta: peccato che non sia così. E peccatissimo che anche su sole e ombra ci siano incertezze, forse perdonabili nel giardiniere ma spesso letali per la pianta: ombra cupa o ombra luminosa? Sole sì, ma quanto e quando? Chi ha fatto della pianta giusta al posto giusto la linea guida del proprio lavoro è Beth Chatto (1923-2018). Per nulla tradotta in italiano, ha scritto di piante per il sottobosco e di giardini umidi, secchi, ombrosi e così-così. E si è scritta a lungo con Christopher Lloyd, altro guru del giardinaggio inglese. Dear friend and gardener (1998, Frances Lincoln Ltd), come stai? ricorda che per l’influenza più dell’antibiotico serve un buon bicchiere di single Malt (lei a lui). E: dear Beth, oggi mio padre avrebbe compiuto 130 anni e io sto per accogliere a Great Dixter dei visitatori francesi che si aspettano di vedere la collezione di narcisi ma per quest’anno si dovranno accontentare dei tulipani (lui – parecchio egoriferito – a lei). Per chi non conoscesse Beth Chatto: riduttivo definirla giardiniera e impreciso definirla paesaggista (soprattutto di questi tempi in cui, ahinoi, i ruoli di giardinieri e paesaggisti si confondono). Forse il termine giusto è plantswoman. Intraducibile: conoscitrice di piante anche no e donna di piante ancor meno. Insomma, teniamocela così. Perché, se l’attributo professionale è incerto, ci si può aggrappare a una certezza: Beth Chatto è stata unica nel trasformare un luogo inospitale in giardino, cogliendone le opportunità e attrezzandosi per superarne i difetti. Ma, per tornare alla pianta giusta: le variabili sono tante ed è difficile tenerle tutte nella dovuta considerazione. Oltre a esposizione, acqua e resistenza alla siccità o al freddo, quanti hanno le idee chiare sul tipo di suolo, sulla ventosità del luogo, sulla compatibilità con le piante che già ci sono? Più della chioma sono le radici che rendono difficile lo sviluppo di una Luzula sylvatica sotto un albero. E un Galium odoratum (nome popolare: Stellina odorosa, Asperula odorata) sta bene in mezz’ombra ma facilmente viene sovrastato dall’erba che cresce intorno. Cercare il posto giusto (e rassegnarsi se non c’è) è una cosa che quasi nessuno di noi fa, soprattutto in questa stagione. Con tutto l’ambaradan di fiere e bancarelle, mostre di piante insolite, esposizioni di piante solite anche i più saggi fanno acquisti per mille motivi diversi: colore, fiore, foglia, colpo di fulmine. Quasi mai perché quella pianta potrebbe essere adatta al contesto che l’aspetta. Ridurre tutto a becero consumismo par brutto. Ci si consola pensando che il desiderio di conoscere e una benefica curiosità vegetale costringono, almeno una volta all’anno, a guardare le piante per quello che sono.

ph. Buddhaamoena, Wikimedia Commons (Beth Chatto – intervista del 2005)

‘Giardinieri per un giorno’: sabato 4 maggio dalle 9 alle 13

Argomento: Simpatie e sinergie tra le piante. Le piante si abbinano tra loro e si combinano con il giardino. Verticalità, colori, fogliame: vediamo insieme alcune delle soluzioni possibili.

E’ necessario iscriversi con una mail a [email protected]

Numero massimo: 30 persone. La visita è aperta a tutti, tranne cani e bambini/ragazzi sotto i 18 anni (ci spiace, sono le regole d’ingresso in galera). Per arrivare con i mezzi o in auto, le istruzioni sono qui.

E’ un carcere: portate un documento e se possibile lasciate il telefono a casa o in auto. E se arrivate con qualche minuto di anticipo, meglio: le procedure per l’ingresso saranno più fluide per tutti. Grazie!

[Questione di attributi] Ci sono piante che hanno un periodo di fulgore e poi cadono in disuso: tra queste, Leycesteria formosa, usata nell’800 in Inghilterra nei giardini vittoriani e poi quasi dimenticata. Per non parlare dell’Italia, dove è praticamente sconosciuta.

E’ un piccolo arbusto originario del sud ovest della Cina e endemica sull’Himalaya, tanto che il suo nome popolare è Caprifoglio dell’Himalaya.

Ma di nomi ne ha ancora altri: Noce moscata dell’Himalaya o Bacca del fagiano, perché, in autunno, dopo la fioritura, produce tantissime piccole bacche rosso scuro amate dagli uccelli e non tossiche per l’uomo – pare – ancorché molto amare.

Il nome botanico è Leycesteria formosa, e questo attributo evocativo (cioè il nome della specie, alias epiteto specifico) ha tratto in inganno i giardinieri di Cascina Bollate. Infatti, per quanto lavorino nel vivaio del carcere così come lavorerebbero in un qualsiasi altro vivaio, sono anche – e a volte da lungo tempo – detenuti. Molti di loro oltre alle mura di cinta non vanno giacché la pena è (o dovrebbe essere) sostanzialmente e solo la privazione della libertà. Quindi incontrano famiglia, moglie/marito o fidanzata/o per un tempo limitato, durante i colloqui, senza alcun momento di intimità né spazio per quella che eufemisticamente viene definita affettività. E la Leycesteria, con quell’attributo così pieno di promesse quale è formosa – che in latino semplicemente vuol dire bella, di forma gradevole – si è trasformata in amorosa. E per quasi un anno, prima che qualcuno si accorgesse del lapsus scribendi, tutti i vasi di Leycesteria sono stati provvisti di cartellini che, più che un nome botanico, portavano scritto un desiderio negato.

Oggi, dopo che i volontari di Cascina Bollate, liberi e quindi meno soggetti a quel genere di malinteso, hanno cancellato e riscritto centinaia di cartellini, la Leycesteria è ritornata ad essere per tutti formosa.

Il vivaio è aperto, o quasi.

La regola è che il vivaio sia aperto mercoledì e venerdì pomeriggio dalle 14 alle 18 (ultimo ingresso alle 17). E l’ultimo sabato del mese: a maggio, il 25.

Eccezione: vivaio chiuso l’8 e il 10 maggio.

Noi cerchiamo di rispettare le regole, ma con la Mostra Orticola in ballo ci tocca di trasgredire….

Saremo lì: stand n.38 – Giardini Pubblici Indro Montanelli in via Palestro, piazza Cavour e via Manin 2, Milano – Orari: giovedì 9 maggio ore 15,00-19 ,00 e da venerdi 10 a domenica 12 ore 9,30-19,30 Info: https://www.orticola.org

Ultima cosa: tenete presente che, malgrado sia un carcere, nei giorni di apertura si entra senza autorizzazione ma con qualche precauzione. Ecco quale.

La newsletter finisce qui per quasi tutti. A meno che qualcuno sia in cerca di idee per davanzali e balconi. Nel caso, basta leggere qui sotto.

Il kit di maggio

Metti che ci sia sul balcone qualche vaso vuoto ma non sai cosa farne, metti che navigare on line sì ma solo se è indispensabile, metti che vedere due-fiori-due e magari qualche bacca potrebbe essere un piacere. E che occuparsene un po’ un modo gradevole per passare il tempo. Metti che Cascina Bollate proponga 3 piante che insieme possono funzionare e che magari facciano anche venir la voglia di continuare. Perché no? Questo è il kit di maggio. 

Ci sentiamo tra un mese. Grazie di aver letto fino a qui.

“Un testo anonimo della tradizione afferma che, nel corso della propria esistenza, ogni essere umano può adottare due atteggiamenti: Costruire o Piantare. I costruttori possono dilungarsi per anni nei loro compiti, ma arriva un giorno in cui terminano la propria opera (…). Poi ci sono quelli che piantano: talvolta soffrono per le tempeste e le stagioni e raramente riposano. Ma al contrario di un edificio, il giardino non smette mai di svilupparsi. Esso richiede l’attenzione continua di un giardiniere, ma, nello stesso tempo, gli permette di vivere una grande avventura.”

(Paul Coelho ‘Brida’ Bompiani, 1990)

Siamo il vivaio nel carcere di Bollate a Milano.

Cascina Bollate è una cooperativa sociale in cui lavorano giardinieri liberi e giardinieri detenuti che imparano un mestiere che dà un senso alla loro pena, finché sono dentro, e una chance al loro futuro, quando usciranno. Perché imparare un lavoro in carcere è un buon modo per non tornarci più.

www.cascinabollate.org