Letture

LA CULTURA CONTADINA

Riporto una pagina di Lettera a una professoressa, scritto dalla Scuola di Barbiana (ed. LEF di Firenze) e dato alle stampe esattamente 40 anni fa. E’ una bella provocazione attorno al tema della cultura contadina.  Gianfranco Zavalloni


Sui monti non ci possiamo stare. Nei campi siamo troppi. Tutti gli economisti sono d’accordo su questo punto.
E se anche non fossero? Si metta nei panni dei nostri genitori. Lei non permetterebbe che suo figlio restasse tagliato fuori. Dunque ci dovete accogliere. Ma non come cittadini di seconda buoni solo per manovale.
Ogni popolo ha la sua cultura e nessun popolo ce n’ha meno di un altro. La nostra è un dono che vi portiamo. Un po’ di vita nell’arido dei vostri libri scritti da gente che ha letto solo libri. Se si sfoglia un sussidiario è tutto piante, animali, stagioni. Sembra che possa scriverlo soltanto un contadino.
Invece gli autori escono dalla vostra scuola. Basta guardare le figure: contadini mancini, vanghe tonde, zappe a uncinetto, fabbri con gli arnesi dei romani, ciliegi con le foglie di susini.
La mia maestra di prima elementare mi disse: – Monta su quell’albero e coglimi due ciliegie -. Quando lo seppe la mia mamma disse: – O chi le ha dato la patente?-.
Avete dato l’abilitazione a lei e la negate a me che d’albero non gliel’ho mai dato a nessuno in vita mia.
Li conosco per nome uno a uno.
Conosco anche i sormenti. Li ho potati, li ho raccolti, ci ho cotto il pane. Lei su un compito m’ha segnato sormenti come errore. Sostiene che si dice sarmenti perché lo dicevano i latini. Poi di nascosto va a cercare sul vocabolario cosa sono.
Anche sugli uomini ne sapete meno di noi. L’ascensore è una macchina per ignorare i coinquilini. L’automobile per ignorare la gente che va in tram. Il telefono per non vedere in faccia e non entrare in casa.
Forse lei no, ma i suoi ragazzi che sanno Cicerone di quanti vivi conoscono la famiglia da vicino? Di quanti sono entrati in cucina? A quanti hanno fatto nottata? Di quanti hanno portato in spalla i morti? Su quanti possono far conto in caso di bisogno?
Se non ci fosse stata l’alluvione non saprebbero ancora quanti sono nella famiglia al piano terreno.
Io con quei compagni sono stato a scuola un anno e della loro casa non so nulla. Eppure non si chetano mai. Spesso sovrappongono le voci e seguitano a parlare come se niente fosse. Tanto ognuno ascolta solo se stesso.
A lei le rombano sotto le finestre mille motori al giorno. Non sa chi sono ne dove vanno. Io so leggere i suoni di questa valle per chilometri intorno. Questo motore lontano è Nevio, che va alla stazione un po’ in ritardo. Vuole che le dica tutto su centinaia di creature, de4cine di famiglie, parentele, legami?
Lei se parla con un operaio sbaglia tutto: le parole, il tono, gli scherzi. Io so cosa pensa un montanaro quando sta zitto e so la cosa che pensa mentre ne dice un’altra.
Questa è la cultura che avrebbero voluto avere  i poeti che lei ama. Nove decimi del mondo l’hanno e nessuno è riuscito a scriverla, dipingerla, filmarla.
Siate umili almeno. La vostra cultura ha lacune grandi come le nostre. Forse più grandi. Certo più dannose per un maestro elementare”.