Letture

IL BOSCO, AL SUO PRIMO SBADIGLIO

Sul limitare delle vigne c’è il bosco.
Un bosco che si permette di sopravvivere, nonostante i terreni intorno siano valutati migliaia di euro a causa del vino famoso, merita tutta la nostra attenzione.

Intanto, al suo centro, come tutti i boschi che si rispettino, lascia serpeggiare un torrente dal letto irregolare fatto di cascatelle e laghetti. In parallelo al fiume scorre la strada, ai loro lati ci sono le ali del bosco formate da castagni che si chiamano a vicenda dalle parti opposte e che vanno spesso a formare una cupola che d’estate è un ristoro d’ombra e d’inverno una cattedrale di neve. Per il momento si vedono solo mani scarne nel grembo di un cielo alto e limpido.
Siamo alla fine dell’inverno, le gemme hanno ancora i cappottini pelosi che le proteggono dal freddo, solo puntando lo sguardo contro il cielo si notano nei rami degli impercettibili ingrossamenti che preludono al germoglio.
Sul ciglio della strada e ai piedi dei castagni convivono miracolosamente blocchi di neve ingrigita insieme a grandi ciuffi di violette e viole del pensiero, con le primule, che qui si trovano solo nella varietà gialla. Se per gioco ci si prende la briga di ricercare in quale punto del bosco vada a cadere un raggio di sole, si scoprirà che ogni arrivo termina con una macchia di myosotis, perlopiù azzurri, ma presenti anche nella varietà più rara, bianca. In gara di livrea con le primule spuntano qua e là anche le pulsatille di un giallo più intenso, quasi alimentare.
La cosa migliore per godersi il bosco non è passeggiare bensì sostare. Vicino al torrente, approdati a una roccia, esattamente come fanno tutti gli animali del bosco e come mostrano le impronte nella fanghiglia di fiume, quelle biungulate dei cinghiali e quelle di cerbiatto con le ben riconoscibili fossette. Ci si siede e si guarda. Così si scopre l’elleboro, che altrimenti passerebbe inosservato. Lungo tutto il torrente, ma anche a risalire le pendici del bosco, se ne trovano di singoli, doppi o addirittura ad arbusto strisciante in formazione di dieci e anche venti elementi. In questo bosco ne ho viste due varietà: elleboro viridens dai fiori verdi come le sue foglie seghettate e elleboro purpurascens dai grandi petali bordati di colore viola scuro.
L’elleboro è una pianta dalla fama sinistra, “velenosa in tutte le sue parti” recita l’erbario, ma come tutte le sue sorelle mortifere, se presa in quantità piccolissima, ha invece forti qualità medicamentose e medicinali. A vederla da così vicino, avendone sentito a lungo parlare, mi vengono in mente insieme due ricordi di qualche anno prima, l’incontro con una comitiva che mi chiedeva se sapessi come arrivare alla “roccia della strega” (che sembra stia effettivamente da queste parti) con una tale insistenza da spedirmi di filato dal parrucchiere, e poi quello con un ragazzo che raccoglieva erbe, una domenica mattina.
Tornavo da fare la spesa, qui i negozi sono aperti la domenica e chiusi il lunedì per via di quell’aura vacanziera che fa tanto chic e che piace alle amministrazioni pubbliche. Entrando con l’auto nel bosco dopo il quale si trovano un piccolo borgo e casa mia, vidi inaspettatamente sul ciglio della strada uno strano quadretto. Il ragazzo poteva avere tra i sedici e i venti anni, pareva non avere neppure i segni di una prima barba, portava abiti dimessi e stava ginocchioni a raccogliere alcune erbe; le sceglieva con cura e le riponeva in una sporta di tela al suo fianco. Sovrastante lui, alle sue spalle, la figura di una donna vecchissima, in piedi, impettita, con un foulard scuro sulla testa, la faccia grinzosa e lo sguardo fisso sull’operato del giovane. Sembravano avvolti in un mondo tutto loro, chiusi in un cerchio protetto e magico, non alzarono lo sguardo né cambiarono alcuno dei loro gesti al mio rumoroso passaggio in automobile. Ovviamente non mi fermai a chiedere chi fossero o a fare altre domande inopportune, però mi rimasero impresse la loro immagine e quello che da essa scaturiva, la certezza dell’esistenza di un sapere che non sarebbe stato rivelato a chiunque.
Ma la sosta nel bosco non deve durare a lungo, perché non appena il sole scende dietro le colline incoronate di vigneti, l’inverno ha un guizzo d’orgoglio e il bosco appena svegliato richiude le palpebre orlate ancora di bucaneve, crochi violetti striati di nero, ciclamini selvatici. E vicino al torrente si gela.

di Ilaria Beretta