Fa caldo, non piove mai abbastanza e i predatori sono tanti, insetti e uomini. Adda passà a nuttata.
[Anche meno] Se andate per fiere, se leggete i giornali, se vi guardate intorno c’è un boom di erbacee perenni. Avendone voglia, provate a chiedere in giro perché uno si compra una salvia da fiore anche se il balcone è in ombra, una speronella anche se tenerla in vaso in città è come metterla in un forno a microonde (programma a media potenza), un garofanino anche se in giardino non ha neanche mezza roccaglia pietrosa e solatìa. Per il colore, diranno in moltissimi, probabilmente tutti. E di solito non intendono che quel tal vaso ha bisogno di un fiore blu cobalto per esaltare l’arancione brillante della calendula o di un fiore giallo limone per smorzarlo. Intendono la botta di colore in sé e per sé.
E il mercato si adegua: le perenni vengono esposte in grandi gruppi omogenei, tutte uguali, tutte insieme, tutte fioritissime a prescindere dalla stagione. Un bel colpo d’occhio. Molto simile alle bancarelle del mercato stracolme di cassette di pomodori rossi rossissimi e di peperoni gialli giallissimi. Con la differenza che i pomodori finiranno nel forno o in insalata mentre una cassetta rossa e gialla di Gaillardia aristata viene piantata in tanti vasi allineati e identici sul balcone, con l’idea che sia per sempre. Questione di gusti, per fortuna. Ma anche questione di porsi qualche domanda in più sulle perenni. Già il nome, perenni. È rassicurante, fa pensare che cosa fatta capo ha. Una macchia di colore in giardino finché morte non sopravvenga. Peccatissimo. Le perenni si chiamano cosi semplicemente perché con l’inverno spesso scompaiono ma raramente muoiono, a differenza delle annuali (che infatti non si vendono perché non danno garanzia di vita eterna). Mai fare l’errore di pensare che non richiedano manutenzione: fioriscono di solito molto meno a lungo delle annuali, ma si può rimediare tagliando il fiore appassito nella speranza che rifioriscano. In poco tempo – e per fortuna – il cespo si allarga: questo significa che ogni 2 o 3 anni tocca dividerlo in modo da dar vigore alle nuove plantule che spuntano alla periferia, mentre il centro del cespo si impoverisce. E poi molte si disseminano: è un pregio, grandissimo, ma va gestito in qualche modo se non si vuole che una massa critica di Anemone hupehensis, Aquilegia vulgaris, Daucus carota, o di Dipsacus fullonum – tanto per citarne qualcuna – cambi l’aspetto e la forma di terrazzi e giardini. E qui si aprirebbe un capitolo a parte sulla gran confusione che c’è sotto il cielo tra piante vagabonde e specie invasive.
Ciò detto Cascina Bollate coltiva perenni (annuali troppo poche ma la speranza è l’ultima a morire ..), piante vagabonde, anche qualche infestante con l’idea che in natura tutto è possibile. E in giardino solo un po’ meno.
[Sottovaso sì, sottovaso no] Il nostro gatto direbbe di sì, mentre i nostri agronomi sono più per il no e pensano che servano soprattutto per scongiurare la lite con gli inquilini del piano di sotto.
Le ragioni a favore del sì, oltre ai rapporti di buon vicinato, sono che i sottovasi evitano che i pavimenti di balcone o terrazzo si trasformino in breve tempo in un tappeto di fanghiglia. Anche la riserva d’acqua contenuta nel sottovaso aiuta perché dà un attimo di tregua (24 ore, se va bene) all’operazione di bagnare e ri-bagnare fino allo sfinimento. Infine, quando una pianta va in sofferenza per mancanza di acqua, il sottovaso pieno è l’ultima speranza cui aggrapparsi per vederla riprender vita. Motivazioni rispettabili e molto, moltissimo legate al benessere del giardiniere più che a quello della pianta. A favore del no, c’è la fisiologia vegetale. Molte piante non tollerano un terreno stabilmente bagnato (come avviene con la riserva d’acqua del sottovaso) perché le radici faticano a lavorare in condizioni prive di ossigeno e hanno invece bisogno di un terreno in cui ci siano “spazi” per l’aria e non solo per l’acqua. A parità di terreno, infatti, ci sono piante che mal sopportano il sottovaso e altre che invece non si formalizzano (per la gioia di quelli al piano di sotto). La ragione non è la necessità della pianta di essere più o meno bagnata ma quella delle radici di “respirare” ossigeno nel terreno.
E poi, alla fine di tutto, c’è il buon senso che nel giardinaggio vale quasi quanto nella vita: dimenticando per un attimo i parossismi climatici, normalmente in natura le piante si adattano a fasi in cui la terra è molto bagnata e fasi di asciutto. Cosi dovremmo fare noi con i vasi: acqua al bisogno, con un’abbondante annaffiata e poi stop finché il terriccio è secco ma non inaridito. In questo senso gli impianti di irrigazione automatica sono una sorta di sberleffo tecnologico all’assorbimento dell’acqua da parte delle radici: irrigazione superficiale più e più volte nelle 24 ore. Un buon trucco per sapere se c’è bisogno d’acqua è affondare il dito nella terra: se è un po’ più fresca della temperatura del dito, tutto bene. E non farsi ingannare dalle foglie abbassate: certo, potrebbero essere un segnale di sete ma spesso è semplicemente un modo per esporre ai raggi del sole la minor superficie possibile della lamina fogliare. In altri termini, l’interpretazione vegetale del cappello di paglia.
[Di pronunciabile c’è solo japonica] Probabilmente la chiamano cocciniglia del Giappone per non essere costretti a dire il suo vero nome: Takahashia japonica. Se ne sa abbastanza poco e forse per questo non c’è pensiero unico tra fitopatologi, botanici e agronomi. Figuriamoci noi…
Cominciamo con i fondamentali: quegli anelli biancastri e appiccicosi che vedete su tantissimi alberi, soprattutto in Lombardia, sono gli ovisacchi – che contengono le larve – non gli insetti. Sono piuttosto bruttini, è vero, ma non coltivate l’illusione di eliminare la cocciniglia del Giappone avvelenandoli con la qualsiasi: come un utero, proteggono le loro creature. E quando Takahashia japonica uscirà dalla sua casetta, sarà un problema, per dirla con un eufemismo. Nel frattempo se gli ovisacchi non sono tantissimi, tagliate il ramo e buttatelo via cercando di non sbatacchiarlo in giro. Allo stadio adulto Takahashia assomiglia a una cocciniglia, circa come quelle che conosciamo noi. Predilige grandi alberi, liquidambar, gelsi, aceri, acacia di Costantinopoli, albero di Giuda, bagolari etc. etc. Non tutto ma di tutto. La buona notizia è che pare abbia una sola generazione all’anno. La cattiva è che a oggi non si conoscono rimedi. Quindi inutile avvelenare giardini e campagne (e i parchi cittadini) con insetticidi che, lo dice la parola stessa, uccidono gli insetti. Tutti: buoni, cattivi, impollinatori e non. Inoltre, i prodotti sistemici sono facilmente dannosi per l’ambiente, per i corsi d’acqua e per l’uomo. Forse è più utile tornare al vecchio walzer dei trattamenti preventivi a foglie cadute: cocciniglia e poltiglia bordolese a inizio e fine inverno. Nel frattempo, se riuscite a non farvi prendere la mano dalla fantasia di insetti che arrivano da ogni parte del mondo (come quasi tutto quello che felicemente consumate, dai vestiti alla papaya) per distruggere prima il parco sotto casa poi il vostro giardino, fino ad arrivare a voi, meglio. Quanto meno indirizzate la vostra angoscia sull’obiettivo giusto: per farlo, basta leggere il giornale.
[Questa vite sta aspettando Popillia japonica] In vivaio, è quasi una pianta sentinella, un po’ come in passato erano le rose all’inizio dei filari d’uva. Appena la rosa veniva attaccata dagli afidi, via con i pesticidi come se non ci fosse un domani. Lo si fa anche adesso, non sempre ma spesso, senza aver bisogno della rosa. La vite è una pianta amatissima dalla Popillia, un bel coleotterone dai colori un po’fluo, vorace divoratore di foglie e – ahinoi – quasi onnivoro. Ormai, a differenza della new entry di cui sopra, la conoscerete bene. Ma pensavamo di darvi qualche conforto, sperando di non menar gramo. La presenza degli insetti predatori sulle vostre piante è come una parabola, cosi come la loro vita: un’invasione che pian piano si attenua per tanti motivi (un po’meno polifagi, lotta biologica, sovrappopolazione e troppe poche piante per nutrirli etc. etc.) Chi si ricorda più della Metcalfa pruinosa? Vent’ anni fa ha invaso interi boschi e adesso vedere qualche esemplare qua e là fa l’effetto di una madeleine. Se proprio non ce la fate a vedere le foglie sbocconcellate come un pizzo di Bruges, combattete pure la Popillia, tanto il mercato fornisce di tutto e di più: dal napalm all’acqua di rose. Ricordate però che l’animalino ha una grande capacità di spostamento e quindi il vostro piccolo paradiso difficilmente resterà a lungo fuori dai suoi voli di ricognizione in cerca di cibo. E che il vero danno lo fanno le larve sui prati. Il ciclo è questo: Popillia che svolazza all’inizio dell’estate, si accoppia e deposita le uova, fino a 16 volte nella stagione. Poi, sottoterra, tutti fermi e tutti zitti per tutto l’inverno, finché le uova si schiudono e le larve si nutrono delle radicolette del prato. Piccole Popillia crescono: è questo il momento di agire. Ma quando lo fate non vi sentite un po’ come Erode?
ULTIMA CHIAMATA: Sabato 28 GIUGNO IL VIVAIO È APERTO DALLE 10 ALLE 13
E’ l’ultimo sabato del mese e anche l’ultimo della stagione. Non che sia un dramma. Solo volevamo avvertire che aspettiamo in vivaio chi di voi ha voglia di prendersi un po’ di caldo tra le piante invece che in mezzo al traffico.
Portatevi dell’acqua e qualche pozione magica contro le zanzare.
Solito orario d’ingresso: 10, 11 e 12. Il vivaio chiude alle 13.
Si entra solo allo scoccare dell’ora (più o meno e circa sono locuzioni che non appartengono alla vita carceraria). E un volontario di Cascina Bollate vi aspetta per accompagnarvi all’interno.
Non è necessaria alcuna autorizzazione per entrare, ma un documento valido sì. Più qualche precauzione: ecco quale.
DAL 1° LUGLIO il VIVAIO È APERTO SOLO ONLINE. BUONE VACANZE!
E’arrivato il momento dell’anno in cui il vivaio vorrebbe, ma non può.
Quindi niente vacanza ma solo un po’ di tregua.
Perché la piena estate è la stagione in cui si fa poco altro oltre che bagnare, bagnare, bagnare e cercare un po’di ombra.
Voi fate buone vacanze, nel frattempo.
Se avete necessità di acquistare piante in questo periodo basta ordinare scegliendole dal nostro catalogo on line. Ricordatevi però che le spedizioni in Italia sono sospese per il caldo e le uniche consegne possibili sono a Milano città o davanti al carcere, solo su appuntamento.
Un consiglio: più che mettere a dimora nuove piante, curatevi di quelle che avete perché non patiscano caldo e siccità.
E coltivate il desiderio facendo progetti per l’autunno!
“Nel corso del 2020 in Gran Bretagna si avvicinarono per la prima volta al giardinaggio tre milioni di persone.(…) Uno schema che si è ripetuto a livello globale, dall’Italia all’India.(…) Era come se, in quella stagione di stallo e di paura, le piante si fossero profilate nella visione collettiva quale fonte di aiuto e sostegno alla vita. Il giardinaggio era concreto, rassicurante, utile, creava bellezza.”
Olivia Laing ‘Il giardino contro il tempo’ Il Saggiatore, 2024
CI SENTIAMO A SETTEMBRE.
GRAZIE DI AVER LETTO FINO A QUI.
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Siamo il vivaio nel carcere di Bollate a Milano.
Cascina Bollate è una cooperativa sociale in cui lavorano giardinieri liberi e giardinieri detenuti che imparano un mestiere che dà un senso alla loro pena, finché sono dentro e una chance al loro futuro, quando usciranno. Perché imparare un lavoro in carcere è un buon modo per non tornarci più.
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