Letture

APE OPERAIA IN PAUSA PRANZO SALE A BORDO DI SUCCULENTA TROVATELLA.

Molti amanti delle piante si chiedono se sia o no il caso di acquistarne da vivaisti senza scrupoli o nei supermercati.


E’ una bella domanda, che per me non ha una risposta. Chi ama ed è cosciente di poter offrire una situazione vantaggiosa a una pianta in un giardino o su un bel balcone vorrebbe portarsele tutte a casa, le piante, non solo quelle denominate “uno splendido esemplare”, ma anche quelle meno fortunate (e spesso spennacchiate)!
Dopo tante questioni di principio, mi sono trovata anch’io ad avere a che fare con la mia prima pianta da supermercato. E’ andata così.
Mi trovo nel reparto “frutta e verdura”, e sto addentrandomi nel quotidiano e sempre irrisolto problema di che cosa fare per cena. Sono assorta nell’esame di fagioli e fagiolini, che nel mio orto non vengono bene, quando scorgo di sfuggita un plateau di minivasetti con scritto sopra “cactu a 1 euro”, come se cactu fosse il singolare di cactus.
Per non essere tentata dall’acquisto cerco più volte di distogliere lo sguardo, ma purtroppo gli occhi tornano sempre a quelle misere palline spinose, molte delle quali sono state scalzate dai vasetti dalla disattenzione dei clienti del supermercato, ma certamente sono state messe ad arte da qualche genio del male sotto un bocchettome dell’aria condizionata. Quando me ne accorgo decido che questo per me è troppo e agisco. Appoggiandomi al bancone sul quale è esposta la disgraziata cassetta, facendo finta di interessarmi a un non so che lì vicino, la spingo con i gomiti e riesco a farla arrivare a un punto dove l’aria condizionata non arriva in modo diretto.
A operazione completata, dopo aver rimesso le piantine cadute nei vasetti, già che c’ero, me ne vado senza comprare nulla, non avrete i miei soldi gente insensibile!  borbotto passando tra i tornelli, a disagio e in tutta fretta.
Salgo in auto e si ripresenta inesorabile il problema della cena, apro una schermata mentale su altri luoghi possibili di approvvigionamento quando, AHIA!, qualcosa mi punge. Potrei pensare subito a un ragno “da sella” tipico di queste campagne e intrufolatosi nell’abitacolo, ma non faccio in tempo a farmi prendere dal terrore perché vedo una delle povere palline denominate “cactu a 1 euro” rimasta attaccata alla manica della mia maglia, avvinta proprio come l’edera, è il caso di dirlo. La libero con cura, la depongo in un fazzoletto in modo che non possa più impigliarsi. Il pensiero di restituirla non mi sfiora neppure.
A casa le trovo un vaso piuttosto largo e basso, non sto a mettere né sabbia, né pietrisco per il drenaggio, come è consigliato, perché non ne ho a disposizione e mi sembra che l’unica cosa di cui abbia urgente bisogno questa trovatella sia stare tranquilla con un po’ di terra sotto i piedi. Le scelgo un angolo soleggiato del giardino, per ora starà lì, riparata anche dal vento che qui soffia forte.
Passano quasi due anni e questa succulenta indomita è cresciuta fino a un diametro di circa venti centimetri, sfoggia spine distanziate regolarmente e un verde scuro degno dei più raffinati onici. Ha cominciato anche a produrre delle antiestetiche protuberanze che si rivelano essere fiori di una bellezza mozzafiato. I fiori della Echinopsis, perché è così che si chiama la palla, si aprono nel cuore dell’estate, di notte, quando la temperatura scende, sono di un delicatissimo rosa, il loro profumo avvolgente simile al giglio ma molto più potente con una nota esotica, si spande per tutta la terrazza, e credo sia stato la causa di un episodio a cui ho assistito degno dei migliori documentari scientifici.
Mattino presto, sono seduta sul dondolo, ho appena terminato di innaffiare abbondantemente, il sole giovane deve ancora mostrarsi da questa parte e la prima porzione di fatica dovuta all’orto estivo è consumata. Sono immersa nel profumo di Echinopsis e incantata dall’ennesimo fiore sbocciato nella notte appena trascorsa, adocchio di sfuggita un’ape che sorvola velocissima la zona, sempre di fretta, le api! supera il vaso, passa oltre, ma poi fa una cosa che non ho mai visto fare a nessun insetto, ad alcuni uccelli in volo si, ma a un insetto no: frena nell’aria e fa inversione a U. Torna indietro dove avvista il grande fiore rosa, vi rimane sopra a un’altezza di circa due palmi, fa dei brevi giri di ricognizione, avanti e indietro, nord e sud, scendendo sempre un poco, poi fa un’altra cosa incredibile: arrivata a pochi centimetri dalla corolla vi si tuffa dentro, letteralmente.
Stranita, rimango immobile – fortunatamente ho appreso durante le  elementari che le api lavorano indefesse dal mattino alla sera, prendono dai fiori il nettare per fare il miele, lo trasportano e lo elaborano nell’arnia, che faticaccia essere ape – meglio non disturbarla nel suo strenuo lavoro. Passano i minuti e quella non esce e io comincio a diventare curiosa, che cosa starà facendo? Passano altri minuti, sta a vedere che la pianta ha effluvi velenosi e l’ape è morta oppure il calice del fiore è troppo profondo e l’apetta non riesce più a uscire. Alla fine mi decido, cautamente mi avvicino e sbircio.
L’ape operaia è viva e vegeta, ma non sembra far parte di quella grande e logorante catena di montaggio di cui ho appreso quando ero bambina. Sta rotolandosi, si avvoltola nella polvere di polline dentro la corolla, così facendo ne è rimasta completamente infarinata ma questo non sembra infastidirla, anzi, direi che l’ha totalmente disinibita. Infatti, compie delle piroette mettendo le ali in un certo modo, solo mezzo aperte e irrigidite lungo il corpo, si lancia giù nel tunnel dei profumi con delle acrobazie, scende lungo tutta la corolla, risale, gioca tra gli stami, arriva al pistillo, poi di nuovo si rituffa dentro.
A un certo momento deve avere un ape-pensiero e si ferma, fa come per guardarsi intorno, se riesce a vedere qualcosa perchè è completamente impollinata. Forse non vuole essere “pizzicata” a divertirsi in un giorno di sole estivo dove c’è tanto da fare, ma poi, rassicurata dal fatto che non ci sono  colleghe in giro ritorna a tuffi e capriole.
Quando finalmente lascia l’Echinopsis rimuovo me stessa dalla posizione granitica in cui ero assestata per non spaventare l’ape godereccia: strano a dirsi, ma ho l’impressione che il suo volo sia leggermente “barcollante” mentre sparisce nel bosco.

Ilaria Beretta