COSA C’È DI NUOVO
Considerazioni sul copia e incolla.
[Lustrarsi gli occhi] Di blog in blog sono finita su uno di piante perenni nella Svizzera italiana: “Un giardino di piante perenni in Ticino” (https://blog-piante-perenni.blogspot.com/) e da lì è iniziata una navigazione a vista che ha fatto tappa in Oregon, dove una signora americana, Loree Bohl, sfida la sorte nel suo “Danger garden” ( http://www.thedangergarden.com/2025/) ed è arrivata fino in Svezia dove, a Örebro, Isas Trädgard racconta di un giardino fai-da-te tutto fronzoli e merletti. Poi, di nuovo negli States: in Colorado con Bob Nold, contributor dell’American Horticultural Society’s ‘A-Z Encyclopedia of Garden’, che del proprio giardino dice “l’unica ragione per cui è verde sono le erbacce che lo popolano”. E il suo blog, spesso piuttosto arguto, si chiama “The miserable gardener”. Per finire con un blog super kitsch: “Late to the Garden Party”, nato nel 2012 per celebrare i mutamenti del giardino di Kris Peterson in California.
Morale: ora e sempre bloggers.
Aiutano a lustrarsi gli occhi, a scoprire nuove piante, a curiosare nei giardini altrui. L’unica cosa che andrebbe evitata – vale anche per la carta stampata – è il copia e incolla. Non tanto perché tutti abbiamo sperimentato che le variabili nel giardinaggio sono tantissime e che la rosa del vicino ha sempre meno pidocchi della nostra, a parità di condizioni di coltivazione. Ma soprattutto perché ontologicamente è abbastanza insensato. Vale a dire: se uno segue un blog di cucina piuttosto che un blog di bricolage, diciamo che ricaverà un sacco di informazioni sulle frittate o su come non incollarsi le dita quando usa l’attack ma, tutto sommato, l’uovo resta un uovo e la colla resta una colla. Le piante, invece, fanno parte del vivente (forse anche le uova…) e quindi decontestualizzarle (il giardino del blogger esportato nel nostro giardino/terrazzo/balcone) come se fossero un soprammobile è un modo di perdere il senso del nostro rapporto con la natura, l’ambiente, il mondo vegetale. Chiamatelo come volete.
E questa è la prima considerazione sull’utilizzo dei blog.
La seconda è che non sarebbe male darsi la pena di leggere, oltre che sfogliare le pagine o scrollare. Detto così è antipatico, ma è solo un suggerimento. Provate a immaginarvi (o a ricordarvi) quando, decine di anni fa, aprivate un qualsiasi classico su piante e giardini: Rudolf Borchard, Beth Chatto, Gertrude Jekyll, Ippolito Pizzetti, Vita Sackville West. C’erano poche foto – di solito nessuna – illustrazioni a volte bellissime e molte parole. Ed erano quelle che raccontavano di una pianta e portavano prima a fantasticare poi a ragionare sul proprio giardino (alias terrazzo o balcone, come sempre). Perché le parole aiutavano (e aiutano) a raccontarsi e a raccontare delle storie sulle piante e sull’uomo. Pensieri da boomer?
[Racconto di Natale, o quasi] Le pantegane, le nutrie e poi la popillia, le vespe, le zanzare-tigri, le cornacchie e già che ci siamo anche gli scoiattoli. L’immaginario metropolitano è popolato di animali che strisciano, volano, si intrufolano e infettano le nostre belle città di cemento che aspirano ad essere asettiche come una sala operatoria (e – di questi tempi – volesse il cielo che lo fosse…). La natura che entra in città spesso non suscita nessun entusiasmo. Ma è la natura ad essere disturbante o sono le città ad essere fragili? Questo quesito apre una piccola storia a lieto fine, quasi un racconto di Natale, tratta da Giungla urbana di Ben Wilson, Il Saggiatore 2023. “Nel marzo 1984 fu richiesto l’intervento dei vigili del fuoco parigini nel sistema fognario, vicino al Pont Neuf. Là, nell’oscurità umida, si ritrovarono faccia a faccia con un coccodrillo del Nilo lungo un metro, che mostrava i denti e dimenava la coda. Éléonore, come in seguito fu battezzata, probabilmente era stata abbandonata dal proprietario e si era nutrita di ratti per circa un mese. Poté infine godersi una vita più felice in un acquario di Vannes, dove ha raggiunto la lunghezza di tre metri, in un recinto progettato in modo da assomigliare alle fogne di Parigi”.
[Ohmmm] Dovessimo fare una hit delle piante misconosciute del nostro catalogo (e misconosciute è un modo gentile per dire piante che si vendono poco perché nelle stagioni tipiche del giardinaggio, dalla primavera all’autunno, hanno un appeal pari a zero). Se dovessimo fare questa hit ai primi posti ci sarebbe senz’altro Strobilanthes penstemonoides.
I fiori sono molto simili a quelli del pestemone (per chi non lo conoscesse: fiori dalla forma campanulata – si dirà così? – dai colori vivaci, fioritura estiva e abbastanza prolungata), il portamento è ramificato, morbido e lasco. E fin qui, niente di originale. La cosa abbastanza unica di S. penstemonoides è che per tutta l’estate ha l’aria di dover fiorire da un momento all’altro: niente di più falso. Ma tra novembre e dicembre, sorpresa. Centinaia di fiori violetti che per settimane sfidano nebbia e gelo e una fioritura sontuosa non foss’altro perché è del tutto inaspettata. Rustica, resistente anche in vaso, quasi sempre verde. La sola cosa che richiede è una buona dose di pazienza.
Buon Natale e Buon ANNO!
Due o tre cosE da sapere
Il VIVAIO E’ Chiuso,
RIAPRE A MARZO. MA
L’E-COMMERCE FUNZIONA
E ANCHE LA MAIL.
Non scompariamo, andiamo solo un po’ in letargo e speriamo che l’abominevole uomo delle nevi venga a trovarci: il freddo fa bene alle piante!
E se lo Yeti non si fa vivo, fatelo voi.
“La città-giardino (…) è un ossimoro: da un lato la metropoli, vista come una vasta rete urbana caratterizzata dalla complessità, dalla rapidità e dai flussi; dall’altra il giardino, visto come luogo di natura ristretto e circoscritto, caratterizzato dalla semplicità, dalla lentezza e dal privato.”
Jean-Noël Consalès ’10 principi per la metropoli-giardino, un’utopia realistica e necessaria’ in AA.VV. ‘Coltiviamo il nostro giardino’ DeriveApprodi 2019
CI SENTIAMO TRA UN MESE.
GRAZIE DI AVER LETTO FINO A QUI.
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Siamo il vivaio nel carcere di Bollate a Milano.
Cascina Bollate è una cooperativa sociale in cui lavorano giardinieri liberi e giardinieri detenuti che imparano un mestiere che dà un senso alla loro pena, finché sono dentro e una chance al loro futuro, quando usciranno. Perché imparare un lavoro in carcere è un buon modo per non tornarci più.
