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INTERVISTA A LIBERESO GUGLIELMI

Alcuni video e un’intervista

 

 
Questa intervista è stata pubblicata sul giornalino dell’Istituto Comprensivo Pontedecimo di Genova (IL MICRO…SCOPPIO), ed è stata realizzata in occasione del festival della scienza svoltosi a Genova dal 25 ottobre al 6 novembre 2007. Libereso Guglielmi era ospite dell’evento PAZIENTEMENTE CURIOSANDO, il 5 e 6 novembre 2007.

 

A cura dei ragazzi della Redazione del Giornalino e del Prof. Martinoni
Martedì 13 novembre 2007
Incontro-intervista con LIBERESO GUGLIELMI, giardiniere di Villa Calvino a San Remo.

D – Perché ti chiami LIBERESO?
R – È il nome che mi ha dato mio padre ed è un nome che mi piace molto: vuol dire libertà in esperanto.
L’esperanto è una lingua artificiale inventata per poter comunicare fra gli uomini e che può essere parlata da tutti i popoli del mondo. Insomma: il mio nome rappresenta la caratteristica principale della mia personalità e della mia esistenza. Difatti io mi sento un LIBERO  “cittadino del mondo”.
Non conosco differenze di nessun tipo fra le persone e dovunque vado è come se fossi a casa mia.
D – Sei soddisfatto del lavoro che hai svolto nella vita?
R – Penso che non avrei potuto fare altro che il giardiniere. Adoro stare in mezzo alla natura e coltivare numerose specie di piante. Ho prestato servizio per molti decenni nella villa dei Calvino a San Remo; un’esperienza unica. Ho iniziato da ragazzino al servizio dei genitori di Italo e del fratello; avevo i capelli lunghi e tanta passione per la mia professione, così come emerge chiaramente dal racconto “Un pomeriggio Adamo” presente nella raccolta “Ultimo viene il Corvo”, dove il protagonista del racconto sono proprio io: Libereso.
 Ho conosciuto bene i genitori di Italo, che erano importanti studiosi. La mamma fu la prima botanica della storia italiana ed era una donna sempre impegnata, molto altera e assai severa con i suoi figli, così come il marito.
Se ad esempio Italo usciva di casa con una scarpa un po’ sporca o male allacciata sua mamma lo faceva rientrare immediatamente nella villa senza dargli il permesso di andare fuori a giocare. I genitori pretendevano molto dai loro figli e da lì, probabilmente, il carattere introverso e rigido dello stesso Italo, il quale ha forse sofferto per il tipo di educazione che gli è stato impartito dai suoi. Mi ricordo che una volta nel giardino erano state da poco piantate delle piante nuove e ancora poco conosciute in Italia e siccome pioveva, per paura che potessero morire, mi mandò a coprirle fino a quando non sarebbe cessata la pioggia. E io lì, ragazzino con i calzoni corti e i capelli lunghi, sotto un ombrello a proteggere dall’acqua battente questi arborei.
Vista l’importanza dei Calvino nell’ambito degli studi scientifici, Italo, per poter seguire una sua strada senza confronti ingombranti e soffocanti, ha “dovuto” buttarsi su un versante diametralmente opposto come quello letterario, nel quale ha dato prova di grande talento e dove ha potuto sbizzarrirsi inventando una serie di personaggi apparentemente assurdi ma che, in realtà, nascono proprio dalle sue esperienze nella vita quotidiana.
Ad esempio, nella trilogia “Questi nostri antenati” il personaggio protagonista del “Visconte dimezzato” prende forma dal carattere dello zio di Italo, il fratello del padre, che aveva una doppia personalità. Per farvi un esempio: dava il permesso ai nipoti di andare sulla sua proprietà per raccogliere la frutta e poi, però, quando li incrociava sul suo terreno urlava loro di tutto chiedendogli chi mai gli avesse dato il permesso di entrare e mangiarsi i frutti. Inoltre, l’educazione così rigida data ad Italo lo costringeva a immaginare un mondo di evasione e ribellione da quello nel quale viveva, troppo soffocante.
Ecco dunque spiegato anche il libro “Il barone rampante”, che prende certamente origine da un accadimento reale letto sul giornale da Calvino, ma che fu immediatamente scelto dallo scrittore per farne un libro proprio perché rivedeva in quel gesto di ribellione il suo desiderio di sfida all’ordine costituito. Io comunque preferisco e conosco meglio il primo Calvino, quello dei racconti di “Ultimo viene il corvo”, tanto per intenderci, e meno bene quello successivo, delle “Cosmicomiche”, “Marcovaldo”, ecc,
Purtroppo, la villa dei Calvino a San Remo non esiste più perché i discendenti l’hanno venduta a un privato che ha fatto costruire un parcheggio al suo posto. Un vero scempio! Quando vedo i parenti dei Calvino, scherzando, glielo dico sempre: “Vi vantate tanto dei vostri illustri antenati, però avete subito venduto la villa per fare un po’ di soldi!
D – A proposito della villa di San Remo e delle avventure narrate in “Ultimo viene il Corvo”, ma “Il giardino incantato”, da cui prende il titolo il racconto omonimo, si riferisce sempre al giardino presente in quella dimora?
R – Certo! Quasi tutto ciò che ha narrato Calvino nella sua vita prende spunto dalla sua villa a San Remo. Sono ricordi che ovviamente poi lui trasforma e modifica, ma il punto di partenza è spesso legato al giardino curato da me e dalla mamma.
D – Che differenze hai notato fra la tua epoca e quella attuale nelle tecniche di coltivazione e conservazione delle piante? Era meglio allora o adesso?
R – Ai miei tempi non si utilizzavano tutti questi prodotti O.g.m. e le tecniche di coltivazione e di conservazione erano molto più tradizionali e
con un po’ più di lavoro lo si potrebbe arricchire e abbellire ulteriormente.

A fine conferenza LIBERESO GUGLIELMI ringrazia auspicandosi che possa esservi un’altra opportunità di incontro.

   BIOGRAFIA

Libereso Guglielmi, classe 1925, è noto al pubblico come il “giardiniere di Calvino”, come è anche scritto nella sua biografia (Libereso, Il giardiniere di Calvino, con Ippolito Pizzetti, prefazione di Nico Orengo, Franco Muzzio Editore, Padova, 1993, pp. 204), perché ha incominciato la sua carriera di giardiniere-intellettuale con Mario Calvino, botanico e padre dello scrittore Italo.
Nato sulle montagne sopra Bordighera da una famiglia di anarchici tolstojani, esperantisti e vegetariani, Libereso venne notato da Mario Calvino e invitato giovanissimo a lavorare nella Stazione sperimentale che questi dirigeva a Sanremo.
 Negli anni cinquanta ha diretto aziende di coltivazione di piante in Meridione, ha fatto il ricercatore in farmacognosia e il capogiardiniere presso l’Università di Londra per dodici anni (anni sessanta).
Ha girato il mondo scoprendo “reti” di piante dove oggi si vorrebbero reti di computer. Oggi è pensionato ma tutt’altro che inattivo: insegna a disegnare le piante ai bambini delle elementari di Sanremo, tiene conferenze sul giardinaggio e la flora spontanea in giro per l’Italia, accudisce una piccola ma affollata terrazza-giardino sottocasa, ispira senza sosta articoli sulle riviste specializzate.
 Libereso è allo stesso tempo figura fuori degli schemi e schema di figure, di quelle che hanno i piedi in un passato profondo ma ci proiettano verso i tempi che verranno.
In questo senso dà voce al “contadino eterno” di tutte le nostre campagne e di tutte le campagne: l’arguzia dell’autodidatta si mescola alla saggezza del vecchio, l’eredità libertaria è insieme agli almanacchi e ai lunari, in un continuum di tempo e natura ….
Per altro verso, Libereso appartiene pienamente alla modernità, si è fatto una solida cultura formale (botanica), ha viaggiato, studiato e abitato all’estero (la moglie è inglese), ha visto la guerra e fatto la Resistenza, è stato uno dei primissimi obiettori di coscienza totali, ha avviato aziende proprie, collabora con riviste e tv.
Quel che è sempre presente, con forza, è la terra.
La parola di Libereso la rende protagonista. In primo piano il paesaggio ligure: la Liguria delle ville, delle fasce, dei contadini mangiatori di castagne e vegetariani per mancanza d’alternative.
Uno spazio tra cielo e mare, ripiegato su se stesso ma dove si sono acclimatati lembi di Cina, di Giappone, di India, di Messico, di Brasile, di Africa … i colorati doni in forma di piante esotiche che viaggiatori e naviganti portavano a giardinieri curiosi, ma anche i tentativi di impiantare colture commerciali da noi.
“Ho cominciato a dodici anni con mio padre e non ho mai finito”, dice nella sua biografia.
Libereso è dunque una forma di quel sapere tradizionale che è sempre stato il lavoro, il sapere di chi sa facendo.

Libereso, Il giardiniere di Calvino,